“Insieme, per gli altri”: Veronica Berti Bocelli racconta la Andrea Bocelli Foundation

Veronica Berti Bocelli racconta la Andrea Bocelli Foundation

 

“Empowering people and communities” è il vostro motto. Ci racconta di cosa è fatto il vostro DNA?

“I nostri sono i cromosomi di chi comprende come il senso della vita non può prescindere l’altro, che ha bisogno di te per poter crescere e poter esprimere la propria vocazione, il proprio talento. Purtroppo non sempre la vita ci consegna tutti i gli strumenti necessari e spesso le condizioni personali, il contesto o le vicissitudini rendono difficile, se non quasi impossibile, la realizzazione del nostro progetto di vita di donne e uomini. Ecco, la Andrea Bocelli Foundation ha nel suo Dna tutto questo ed “Empowering people and communities” vuole esprimere appunto la vocazione, i tratti fondamentali del nostro corredo genetico nella consapevolezza che l’empowerment, cioè la conquista della consapevolezza di sé e delle proprie straordinarie possibilità, si concretizza nel creare appunto le opportunità di espressione del potenziale delle persone e delle comunità. Ecco, è su questo che si esprime e agisce il nostro Dna, sui nostri studenti, sui cittadini di domani attraverso l’implementazione di percorsi didattici e formativi innovativi che includono la musica, l’arte e il digitale”.

La ABF lavora attualmente con due principali programmi di intervento: Challenges e Break the Barriers. Ce li può raccontare?

“Volentieri. Entrambi sono progetti coniugano la ricerca avanzata di soluzioni alla vita pratica delle persone con difficoltà oggettive partendo dal presupposto che ogni essere umano si realizza giocoforza nell’ambito complessivo di una dimensione bio-psico-sociale. Bio perché siamo giocoforza condizionati dal nostro stato di salute, dal nostro profilo di funzionamento fisico. Psico perché la percezione che abbiamo di noi stessi, anche rispetto agli altri e dell’ambiente-contesto ci condiziona fortemente, ancor più se già vincolati a difficoltà fisiche. Sociale in quanto il nostro progetto di vita non può prescindere la dimensione familiare, scolastica, lavorativa e comunque relazionale. Con Challenges, dunque, siamo impegnati a realizzare, attraverso una complessa attività di ricerca, la possibilità di rendere indipendenti le persone non vedenti o ipovedenti che hanno bisogno di ausili spesso costosi per poter gestire la propria vita in maniera autonoma. Nell’ambito di questo obiettivo abbiamo inserito il progetto di ricerca E-Theia, dal nome della dea greca della luce, la dea della vista, che punta alla realizzazione di un device, cioè un dispositivo elettronico, in grado di aiutare le persone con problemi visivi affinché possano vivere nella maniera più autonoma possibile la propria socialità indoor e outdoor”.

E Break the Barriers?

“E’ un programma senz’altro di più vasto respiro, un contenitore decisamente più ampio nel quale rientrano tutti quei progetti che in qualche modo aiutano le fasce deboli in quei contesti italiani o dei Paesi in via di Sviluppo in cui le condizioni economiche e sociali o le malattie compromettono le aspettative di vita o comunque costituiscono una barriera allo sviluppo delle potenzialità dei singoli e delle comunità. Per questo abbiamo costruito un modello di approccio sistemico che pone la scuola, l’accesso all’istruzione, al centro della vita della comunità. La scuola-comunità diviene così fulcro di socialità, formazione, sviluppo delle potenzialità non solo del singolo ma della sua famiglia, del suo contesto sociale, del suo paese. Da Haiti, dove partendo dalle scuole di strada abbiamo lavorato al fianco del partner locale Fondation Saint Luc per realizzare edifici scolastici funzionali e sicuri, ai luoghi del Centro Italia distrutti del sisma 2016 e dove la Fondazione ha realizzato già 3 scuole, lavoriamo lavora oltre le mura per ideare e realizzare progetti formativi particolarmente innovativi grazie al team multidisciplinare particolarmente specializzato. Questo, ad esempio, è quanto stiamo facendo con il progetto H-Labs per la didattica negli Ospedali Pediatrici.

La solidarietà è una tematica importante e fondamentale per lei e la sua famiglia. Tra i tantissimi progetti già portati a compimento quali sono quelli che più l’hanno emozionata in qualità di vice presidente della Fondazione?

“Non c’è in realtà un progetto in particolare e non è tanto il suo livello di ambizione ad emozionarmi. Mi emoziona la ritrovata serenità, lo sguardo e il sorriso di quelle comunità che ci hanno dato la possibilità di renderci utili, di dare un senso al nostro impegno, alla nostra esistenza. Mi emoziona la mano tesa dei nostri partner, mi emoziona la gioia che leggo negli occhi dei tantissimi nostri collaboratori di fronte ad un’idea nuova, ad un progetto realizzato. In questo senso, forse, Voices of Haiti è uno dei progetti, di quelle esperienze, che racchiude tutto questo”.

 

Dopo Haiti c’è stata la ricostruzione delle scuole distrutte dal terremoto del 2016, poi l’emergenza Coronavirus, adesso quella Ucraina. Come è cambiata l’attività della Fondazione in questi anni?

“Senza mai perdere di vista la nostra mission, puntando fortemente alla nostra capacità di adattamento alle nuove sfide, raccogliamo di volta in volta, come tutti, la “chiamata” all’urgenza, all’emergenza. Lo schema di base resta però sostanzialmente lo stesso: dopo un primo aiuto, il supporto per fornire e ripristinare le condizioni minime essenziali di base, lavoriamo per strutturare interventi di più ampio respiro. L’esempio più attuale è forse il recente progetto “Con te per disegnare un futuro di Pace”, attivato in risposta alla emergenza legata al conflitto ucraino-russo. Lì abbiamo progettato sì un percorso di accoglienza strutturandolo, però, in modo da permettere in prospettiva una possibile integrazione socio-culturale delle famiglie accolte così come il recupero di una nuova quotidianità e di nuovi punti di riferimento. Guardiamo a quella cultura di una solidarietà che sa cogliere non solo il grido di dolore di una comunità in un dato momento ma anche le opportunità del momento stesso, quelle in grado di poter contribuire a dare una risposta immediata ed efficace anche in prospettiva. L’attività cambia adattandosi al contesto emergenziale. Quello che è rimasto immutato è, invece, lo spirito di iniziativa, la voglia di mettersi in gioco”.

Se potesse descrivere la ABF in tre aggettivi quali sceglierebbe?

“Se me lo consente più che un aggettivo preferirei sintetizzare il tutto con un solo sostantivo: l’amore. Quello per il prossimo, per l’altro nel suo momento del bisogno. L’unico in grado di dare un senso pieno, davvero nobile, alla nostra esistenza”.