Ristorante “La Giostra”, Firenze. La nostra intervista al principe Soldano Kunz D’Asburgo Lorena

Sono a Borgo Pinti, nel cuore del centro storico di Firenze, con il principe Soldano Kunz D’Asburgo Lorena che ci parla del suo ristorante di famiglia “La Giostra”. 

Soldano, raccontaci un po’ come hai iniziato questa avventura.

“Ha avuto inizio con mio padre (il principe Dimitri D’Asburgo Lorena), che è stato cultore di vino per 50 anni, con una passione per la cucina che gli aveva trasmesso fin da piccolo sua nonna. Da grande rappresentava il suo vino e frequentava per lavoro i ristoranti più famosi d’Italia, dove si faceva raccontare le ricette dagli chef, e cucinava con loro. Si divertiva in particolare modo con le cuoche, queste signore di una volta, a imparare i piatti che piacevano a lui. Era solito allestire super banchetti giganteschi per 300 persone e cucinava tutto lui. Un giorno mi ha detto scherzosamente: “ma se apriamo un ristorante i tuoi amici lo pagano il cibo o gli piace solo quando è gratis a casa?”. In realtà l’intento era serio, voleva aprire davvero un ristorante,. Tutti i miei amici erano impazziti per come cucinava in quelle feste gigantesche. Da quella battuta aprimmo davvero, proprio qua dove siamo adesso, nel 1992 e negli anni a venire quando poteva mio babbo invitava chiunque. Produceva il vino, aveva una sua azienda: “il castello di Poppiano”. Il primo Super Tuscan del mondo, il Tegolato, l’ha inventato lui, molto prima del Sassicaia. Produceva 4 milioni e mezzo di bottiglie l’anno.”

Immagino che i primi tempi siano stati quelli più duri…

“All’inizio ci siamo fatti delle risate inimmaginabili perché mio padre sapeva cucinare, ma fare i cuochi in un ristorante e saper cucinare a casa è un altro mondo. Inizialmente impiegava due ore per fare un piatto di pasta e io gli dicevo: “babbo, la gente si arrabbia” . La sera andavo a letto sfinito, ma la gente era contenta. E poi piano piano siamo diventati famosi, merito del passaparola, grazie al quale sono arrivate anche grandi star come John Travolta. Quindi se siamo arrivati qua oggi lo dobbiamo a mio padre, che è scomparso 12 anni fa. “

Perché vi chiamate “la Giostra”?

“Perché questo era il ripostiglio delle giostre di una piazzetta qua vicino. In inverno la smontavano e la mettevano qui dentro”. 

Qual è il piatto che oggi rappresenta di più la cucina del tuo ristorante e che vino ci abbineresti?

“Difficile dirlo, noi facciamo un sacco di piatti e la maggior parte di questi li ha inventati mio padre. Quello più famoso di tutti forse è la carbonara al tartufo, che ho inventato io invece. Una volta, siccome avevo un cliente che mangiava sempre il gelato alla crema con il tartufo sopra, dissi a mio padre: “babbo, ma che strano il tartufo sul gelato”. Lui mi rispose “Soldano ha ragione il signore, lo mangiavo anch’io, perché il tartufo si sposa perfettamente con l’uovo”. Da questo scambio di battute nacque la mia idea della carbonara al tartufo. L’altro nostro piatto della tradizione è i ravioli con le pere, che tutto il mondo ci ha copiato. Io mi occupo anche della cantina, perché mio padre mi insegnò ad assaggiare i vini. Con la carbonara al tartufo ci abbinerei il Barolo che è terra loro, oppure un Sangiovese vecchio stile tipo “Castello di Ama” e con i ravioli con le pere ci abbinerei il Camartina o i Cabernet sempre del Chianti”.

Quali sono le caratteristiche che secondo te oggi un ristorante deve avere per soddisfare la clientela?

“Per soddisfare non lo so, per far sì che il cliente si ricordi di te devi avere il coraggio di trovare un’identità, ovvero devi proporre dei piatti che rispecchino quello che sei tu e avere la pazienza di aspettare che i clienti capiscano cosa stai facendo. Se proponi la tagliatella al ragù il cliente la mangia e la trova da tutte le parti. Se hai nel menù un piatto che si sbilancia, come fu all’inizio la pera nei ravioli o il nostro filetto kalvill con fegato d’oca e mele, magari impieghi più tempo per farli capire e amare dalle persone, ma poi può succedere (come nel nostro caso), che tornino da te proprio perché abbinano solo te a quei piatti. 

Oggigiorno che ruolo giocano secondo te i social nell’economia di una piccola impresa come un ristorante?

“Ormai giocano un ruolo importante perché la gente non guarda più la guida del Gambero Rosso. Se non sei sui social forse dai vantaggio a qualcuno che c’è, anche se magari ha meno qualità di te”.

Cosa pensi da imprenditore del settore della ristorazione in Italia e del suo futuro?

“Se fossimo governati onestamente non dovremmo permettere che l’Europa metta bocca su quello che facciamo noi. In questo momento siamo aperti solo per  il pranzo, il cibo buono non si può portare a casa. Il delivery lo puoi fare per una pizza, o il sushi, ma io una bistecca a casa non te la posso portare. L’asporto non è la soluzione per me”.

Che importanza dai al tuo look così originale nella comunicazione?

“Non ne ho idea. Io sono vestito così da quando sono nato, da quando ero piccolo, non è una cosa che faccio per il ristorante, ma perché piace a me. Da piccolo mi mettevo le gonne tipo Highlander, poi mi vestivo da Batman piuttosto che da Tarzan, o come gli arabi nel deserto, sempre strano. Per la strada mi capita che mi fermino anche se ho il piumino che mi copre tutto e mi chiedano di fare i servizi fotografici, mi è successo più volte”. 

Il fatto che siete principi dava ancora di più la curiosità alla gente di venire al vostro ristorante?

“Secondo me no, specialmente per i fiorentini. Non sono mai stati contenti, si sentivano in imbarazzo, a disagio, sentivo le persone dire “no io in quel posto lì dai principi non ci vado”. Si preoccupavano di come dovevano vestirsi per andare al ristorante dei principi, ma io non ero ricco, lavoravo con le espadrillas, quindi non aveva senso che provassero invidia o imbarazzo. Sono felice di aver vissuto e di continuare a vivere questa avventura”.

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